L’APPROCCIO FEUERSTEIN NELL'INSEGNAMENTO: CONCETTI INTRODUTTIVI.

 

L’insegnante mediatore come facilitatore di processi

di Ester Lombardini

III CONVEGNO INTERNAZIONALE ERICKSON
“La Qualità dell’integrazione nella scuola e nella società”

La terza edizione di questo importante appuntamento internazionale sulla qualità dell’integrazione nella scuola e nella società è iniziato con una parole chiave di grossa pregnanza, commentata con incisività da Dario Ianes: una “speciale normalità”. Mi sembra sempre più diffusa la convinzione che per aumentare la qualità inclusiva dell’offerta formativa sia davvero necessario attivare, per tutti gli alunni, all’interno delle normali attività scolastiche, quei principi tipici di metodologie molto speciali che si avvalgono degli studi psicopedagogici più recenti.

Questa introduzione mi consente di collocare nel giusto contesto il Metodo Feuerstein, una metodologia:
- centrata su un approccio metacognitivo, che intende affrontare alcune questioni fondamentali dell’apprendimento: è possibile apprendere? Come si apprende? Quali le ragioni del mancato apprendimento? Come fare per intervenire?
- da iscriversi tra quelle metodologie di cerniera tra l’alunno in situazione di handicap e la classe
- che fa della diversità una risorsa e dello stare insieme un’occasione preziosa di apprendimento.

Se dovessi individuare una specificità di questo metodo da trasferire nella normale attività educativa in ambito scolastico, riabilitativo-clinico o familiare, sceglierei, in base alla mia lunga esperienza di insegnante e di formatrice, il concetto di mediazione.

I numerosi feed-back di insegnanti ed educatori incontrati durante i corsi di formazione, confermano come sia centrale, “speciale” - come direbbe Dario Ianes - riflettere su questa dimensione di adulto mediatore che sempre meno può essere affidata al buon senso (utile, ma non più sufficiente) e che sempre più va appresa.
“In classe non insegno più nello stesso modo”
“Utilizzo anche la mia disciplina in modo metacognitivo”
“Finalmente ho capito cosa significa metacognizione”
“Non è sufficiente avere dei materiali, è fondamentale capire come utilizzarli in funzione del potenziamento delle abilità di ciascuno”
“Non avevo trovato ancora niente di così completo che mi consentisse di intervenire sia sul piano cognitivo, che su quello affettivo – relazionale”
“Osservo aspetti che prima non vedevo”

Entriamo nel problema e osserviamo alcune possibili soluzioni:
a) è mediatrice la mamma che dà la pappa al suo bambino?
b) è mediatore il genitore che aiuta il figlio a preparare la cartella per il giorno dopo?
c) è mediatore l’insegnante quando presenta un compito da svolgere alla sua classe?

… dipende, non è detto!

a) La madre utilizza questo momento come occasione di apprendimento, per esempio della motricità fine (tenere in mano il cucchiaio)?
b) Il genitore coglie questa occasione per guidare il figlio con domande volte a far apprendere come organizzarsi?
c) L’insegnante che presenta un compito alla classe dedica tempo per avviare alla lettura autonoma della consegna?

Non ogni relazione è un’esperienza di apprendimento mediato, ma può diventarlo:
- una normale gita in bicicletta o un semplice gioco, anche un puzzle,
- un’attività legata alla cura di sé,
- una partita a carte con un anziano,
possono diventare occasione di apprendimento mediato sia in ambito scolastico, che riabilitativo che familiare, a condizione che l’adulto-mediatore, ossia colui che sta in mezzo tra stimolo e allievo, abbia una forte competenza.

Ma cosa significa mediazione?
L’immagine dell’impalcatura (scaffolding) introdotta da Wood, Bruner, Roos (1976) rende visivamente l’idea di quel sostegno che Feuerstein chiama mediazione:
“gli stimoli emersi dall’ambiente vengono trasformati da un mediatore, solitamente un genitore, un fratello o un’altra figura di riferimento, che guidato dalle proprie intenzioni, dalla cultura e dall’investimento emotivo, seleziona e organizza il mondo degli stimoli per il bambino: sceglie i più appropriati, inquadrandoli, filtrandoli e programmandoli; determina la comparsa e la scomparsa di alcuni e ne ignora altri e, attraverso questo processo di mediazione, influisce sullo sviluppo della struttura cognitiva.”
Un sostegno, quindi, che sorregge la casa e permette di lavorare su di essa, ma pensato separato dalla casa per essere smantellato quando non serve più. Un sostegno sempre orientato al futuro, all’autonomia.

Ritrovate questa idea nella simulazione che abbiamo sperimentato in questo workshop? Nel gioco che vi vedeva studenti di fronte ad un problema sfidante, quali aspetti della mia mediazione sono stati più utili per favorire un cammino di apprendimento?
- Il mediatore ha focalizzato il processo piuttosto che la prestazione finale?
- Di fronte alla complessità del compito ha aiutato con domande più che suggerire risposte?
- Ha chiesto giustificazioni per le risposte (anche per quelle corrette)?
- Ha cercato di valorizzare il contributo di ciascuno di voi, anche se numerosi, per restituirlo a tutti in modo da consentire ad ognuno di sperimentare un percorso di successo?
- Ha stimolato a cercare legami, a trovare regole, a formulare ipotesi per anticipare la soluzione?
- Ha stimolato a fare esempi dei principi e delle regole in ambiti e contesti diversi?
- Ha incoraggiato con feed-back positivi volti ad attivare una motivazione intrinseca al compito?

Era mia intenzione fare tutto questo (intenzionalità) e se non ci fosse stata la vostra partecipazione (reciprocità) avrei dovuto tentare altri agganci per interagire con voi in altro modo, disponibile anche a modificare il compito.

Certamente il ruolo del mediatore non è semplice, richiede una professionalità alta, mai totalmente compiuta, che va acquisita a poco a poco in un percorso formativo centrato su un’auto-osservazione continua della propria azione educativa, per aumentare la consapevolezza del come si interviene e la disponibilità ad assumere un salutare atteggiamento di ricerca.
… anche il metodo Feuerstein può aiutarci in questo cammino? La mediazione potrebbe essere una speciale normalità? Mi fermo qui, ma per approfondire:

Albanese O., Doudin P.A., Martin D. (a c. d.) Metacognizione ed educazione, F. Angeli, 1995
Ashman A., Conway R., Guida alla didattica metacognitiva, Erickson, 1989
Bonansea G, Damnotti, S., Picco, A., Oltre l'insuccesso scolastico, Ed. SEI, 1996
Boscolo P., Psicologia dell’apprendimento scolastico: aspetti cognitivi e relazionali, UTET, 1997
Buono S., Garbo G., Lombardini E., Minuto M., Zippel G., (2001) Il Metodo Feuerstein, “Handicap risposte” - febbraio 2001, pp.21-32
Bruner J., Lo sviluppo cognitivo, Ed. Armando, 1973.
D’Amato F., Florian R., Il programma Feuerstein, Giunti Lisciani, 1993
Dixon-Krauss L. (a cura di), Vygotskij nella classe - Potenziale di sviluppo e mediazione didattica, Ed. Erickson, 1998.
Feuerstein R. (et al.), Non accettarmi come sono, Ed. Sansoni
Gatti R., Saper Sapere, NIS
Gatti R., Gherardi V., Scienze dell’Educazione, Carocci
Gagné E., Psicologia cognitiva e apprendimento scolastico, Ed. SEI, 1989.
Guetta S., Il successo formativo nella prospettiva di Reuven Feuerstein, Liguori Editore, 2001
Haywood C. (1987), A mediational teaching style, in “The thinking teacher” 4(1)/1987, pp. 1-6
Ianes, D., Metacognizione e Insegnamento, Ed. Erickson, 1996
Minuto M. (1996), Il ruolo della mediazione nei processi cognitivi, “L’animazione a scuola – Quaderni di animazione e formazione”, pp.78-91
Pontecorvo, C., Psicologia dell'Educazione - Conoscere a scuola, Ed. Il Mulino, 1985.
Reeve J., Bolt Yi Cai E. (2001), Come insegnano i docenti che promuovono l’autonomia degli studenti, in “Psicologia dell’educazione e della formazione”, n.2/2001, pp. 145-169
Wood D., Bruner J. S., Roos G. The role of tutoring in problem solving, “Journal of Child Psychology and Psychiatry”, nr. 17/1976, pp.89-100