In realtà non ci sono bambini irrecuperabili

Mente & Cervello

(n°3 - anno 1, maggio-giugno 2003)

di Paola Emilia Cicerone

Curriculum impegnativo, quello di Reuven Feuerstein. Psicologo e pedagogista, allievo di Piaget, Jaspers e Jung, noto per la sua teoria sulla modificabilità delle strutture cognitive da cui è nato un metodo didattico in grado di recuperare handicap apparentemente insomiontabii, è direttore dell'ICELP (International Center for the Enhancement of Learning Potential), l'istituto da lui fondato a Gerusalemme. La sua carriera di educatore è cominciata alla fine degli anni venti a Botosan, in Romania, quando ha insegnato a leggere a un ragazzo considerato irrecuperabile: «Avevo otto anni, ma in famiglia mi avevano insegnato da tempo a leggere in due lingue. Fu il padre a chiedermi di aiutare il ragazzo: voleva che leggesse perché solo così, un giorno, avrebbe potuto recitare per lui il kaddish, la preghiera dei morti degli ebrei» racconta Feuerstein, un vivace ottantenne con una gran barba bianca e un civettuolo basco nero che gli dà un aspetto da artista.
A Milano per una serie di incontri con la Fondazione Mariani, impegnata nel settore della neurologia infantile, che da anni collabora con il suo istituto di Gerusalemme, Feuerstein mostra con orgoglio la foto che ritrae un gruppo dei «suoi» ragazzi che oggi fanno parte dell'esercito israeliano. «Tutti con problemi gravi: sindrome di Down, sindrome dell'X fragile, autismo» spiega indicandoli a uno a uno. «Eppure sono riusciti a inserirsi nella società, a diventarne membri produttivi.» E il punto di arrivo del sistema educativo creato da Feuerstein, basato sulla possibilità di modificare le potenzialità intellettuali con un sistema di apprendimento «in cui le informazioni vengono "mediate", modificandole per renderle più attraenti e comprensibili. II mediatore non si interessa tanto del risultato, quanto del processo di apprendimento e non lascia mai solo l'allievo davanti alle difficoltà, ma lo guida aiutandolo a trovare la strada giusta per risolverle».
II percorso che ha portato Feuerstein a elaborare le sue idee sull'intelligenza è stato lungo e non facile: maestro, poi studente di psicologia, comincia a interessarsi di ragazzi disagiali quando è ancora nel suo paese natale, la Romania. Nel 1944 si trasferisce in Israele, dove inizia a lavorare con bambini scampati ai campi di sterminio. «Portavo loro pane e marmellata di patate, l'unica disponibile, perché avessero qualcosa da mangiare. Ma anche dischi, perché mentre mangiavano potessero ascoltare musica classica» racconta. «Lavorando con questi bambini mi sono posto il problema di migliorarne la vita, offrendo loro un metodo di pensiero razio-
nale.» Nasce così l'idea che le strutture mentali possano essere modificate: «Non voglio dire che i geni non abbiano un peso, ma devono essere un punto di partenza, non una condanna. Non mi piace definire un bambino "autistico" o "dislessico"; preferisco dire che si trova in una condizione di autismo, o di dislessia, che quindi può essere cambiata».

Valutare l'intelligenza

In Svizzera per curare la tubercolosi contratta dai piccoli malati, Feuerstein incontra Piaget, «che era più interessato alle leggi dello sviluppo, mentre a me interessano i casi specifici». Come quelli dei bambini etiopi, figli di immigrati, che arrivavano in Israele privi di formazione scolastica, ma vivaci e curiosi. «Erano bambini intelligenti se, come credo, l'intelligenza è la capacità di elaborare le esperienze per trarne una fonte di conoscenza» chiarisce Feuerstein. «I test per valutare il QI però li condannavano, destinandoli a scuole speciali. II fatto è che questi test ci raccontano solo quello che il soggetto sa già, e non ci dicono quello che potrebbe imparare con la giusta mediazione degli insegnanti.»
È nata così l'idea di frazionare l'esperienza di apprendimento per analizzarla sotto il profilo cognitivo, cercando di capire dove siano le difficoltà: come avviene nel test LPAD (Learning Propensity Assessment Device), «un metodo dinamico, che serve a misurare le potenzialità». Una volta valutata la situazione, entra in gioco il Programma di arricchimento strumentale, 14 gruppi di esercizi legati ad altrettante funzioni cognitive: capacità analitica, comparazioni, sillogismi, relazioni spaziali e temporali e altro ancora. Si comincia dai processi più semplici per arrivare progressivamente ai processi mentali superiori. II programma dura tre anni, durante i quali l'allievo esegue gli esercizi con l'assistenza del docente, che «media» l'esperienza individuando i punti deboli e aiutandolo a superarli.
«Non si hanno solo miglioramenti a livello cognitivo. Le modifiche coinvolgono la struttura stessa del cervello e possiamo valutarle con strumenti quali la PET» afferma Feuerstein. E ciò che intende fare la Fondazione Mariani, che ha avviato un progetto di ricerca per confermare sperimentalmente i risultati ottenuti con questo metodo. Che non funziona solo per i bambini con disturbi cognitivi, ma anche in riabilitazione, e persino nella formazione aziendale.
In italiano il metodo Feuerstein è riassunto in un saggio dal titolo «forte»: Non accettarmi come sono (Sansoni editore, 1995); ma quello originale era anche più esplicito: Se mi vuoi bene, non accettarmi come sono. Spiega lo psicologo: «Bisogna evitare che la tolleranza si trasformi in alibi: i ragazzi non vanno lasciati soli di fronte alle difficoltà». Nell'approccio di Feuerstein - lui stesso nonno di un piccolo Down - si sente lo spinto di chi ha costruito dal nulla un paese moderno. E insieme il peso della tradizione: «La mediazione è tipica della cultura ebraica, ma anche di altre culture a tradizione orale, che sarebbe scorretto definire primitive. E un fenomeno universale, che distingue gli umani dalle altre specie» sottolinea lo psicologo. Che non risparmia critiche alla società di oggi, in cui le famiglie mononucleari hanno perso preziose opportunità di mediazione e i genitori sono spesso poco disponibili. «Molti bambini classificati come iperattivi sono tall per mancanza di mediatori che consentano loro di gestire gli stimoli in modo più efficiente, aiutandoli a soffermarsi su un compito anziché saltare da una cosa all'altra. Così, spesso questi bambini vengono trattati con farmaci che influenzano la rapidità dei processi cognitivi. Ma se non si sfrutta il tempo guadagnato in, questo modo, l'unico risultato che si ottiene è che disturbano meno.»
Feuerstein ritorna maestro quando denuncia gli eccessi della scuola facile: «Non possiamo pensare che i bambini imparino senza rendersene conto: quando si dà un regalo a qualcuno, bisogna farglielo sapere. II processo di apprendimento funziona al meglio quando è cosciente: non siamo abituati ad analizzare i processi cognitivi, individuando i passaggi che ci portano a ottenere certi risultati. Eppure, è il modo migliore per ottenerli».